Lettera del Rabbino Capo di Venezia Scialom Bahbout

Quando muore un giovane, e per di più nel momento più creativo della propria vita, è difficile darsi pace ed è viceversa facile essere preda dello sconforto e della rinuncia alla vita. Questo è ciò che accade quasi sempre, ma non è accaduto ai genitori di Marco Gottardi e Gloria Trevisan, che proprio nel momento del dolore per una immensa tragedia hanno reagito alla morte dei loro figli trasformando il dolore in una affermazione di vita. La morte di due giovani pieni di vitalità, entusiasmo e voglia di creare, doveva contenere un messaggio di vita: il modo migliore per tramandare la memoria di una persona è di mantenerla in vita attraverso le azioni che ogni membro della società è chiamato a fare. Quanto più preziosa è la vita di chi ci ha lasciato tanto più importante è ricordarlo con azioni e progetti che siano in linea con la sua eredità: è questo quanto hanno fatto i genitori di Marco e Gloria, periti tragicamente nell’incendio della Grenfel Tower di Londra.
Quando si ricorda il morto, si dice, il suo ricordo sia di benedizione, zikhronò livrachà (Kiddushin 31b). Nessun monumento per i morti può trasmettere il valore della persona scomparsa: anche quando si tratta di persone particolarmente giuste, il Talmud afferma: “I loro insegnamenti sono il loro ricordo (Talmud di Gerusalemme, Shekalim 2:5).
D’altra parte, per il credente, ogni evento, quindi anche la morte, rientra nel progetto divino più ampio della creazione e, in ultima analisi, non rimane che l’affermazione consolatoria con cui Giobbe accetta il suo destino: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia il nome del Signore benedetto”. La consolazione quindi in ultima analisi viene attribuita direttamente a Dio e il lutto del singolo viene posto all’interno di quello della collettività. La stretta relazione tra dolore privato e dolore pubblica viene evidenziata dal fatto che, per il lutto pubblico, valgono le stesse norme di quello privato e quando si tratta della morte di un Sapiente si afferma che siamo tutti parenti (shabbat 105) e tanto più quando si tratta di un giovane che muore.
La capacità di consolare in ultima analisi viene attribuita direttamente a Dio: per questo si pronunciano le parole: Il Signore vi consoli assieme alle persone in lutto per la distruzione del Tempio di Gerusalemme”. Con questa espressione si pone il lutto del singolo all’interno di quello della collettività.
La collettività ha l’obbligo di piangere e partecipare alla morte del singolo, a tal punto che se un morto non ha parenti da consolare, dieci persone idonee vanno ad abitare nella casa del morto per i sette giorni del lutto e il resto del popolo si riunisce accanto a loro (Maimonide 13, 4): insomma, la perdita di una persona non può non lasciare un qualche segno nella cerchia in cui viveva. Quale maggior segno può lasciare la morte di Marco e Gloria cui è stata dedicata una Associazione che si propone di aiutare quei giovani che vogliono costruirsi un futuro migliore?
La morte è quindi una occasione per riflettere sul valore della vita e per questo porto due insegnamenti.
Il primo una parabola del Maghid di Dubna che esprime l’atteggiamento che secondo l’ebraismo si deve assumere di fronte alla ferita che segue alla morte di una persona cara.
Un re aveva un diamante grande, bello e puro di cui si vantava molto, perché non ce n’era uno eguale al mondo. Accadde che un giorno, per errore, il diamante subì un graffio profondo. Il re mandò a chiamare i migliori intagliatori di diamanti e propose loro una grande ricompensa a chi fosse riuscito a eliminare il difetto dal diamante, ma nessuno di loro fu in grado di farlo. Il re se ne rattristò moltissimo.
Trascorse un certo tempo e si presentò al re un artigiano, che sosteneva di essere specializzato nella raffinazione delle pietre preziose. Egli si impegnò di riparare il raro diamante e di renderlo ancora più bello di quanto fosse prima dell’incidente. La sua sicurezza impressionò il re e consegnò nelle sue mani la pietra preziosa.
L’uomo mantenne la sua parola. Con un’arte davvero straordinaria egli incise un bellissimo bocciolo di rosa intorno alla graffiatura, con la graffiatura che faceva da stelo alla rosa.
Anche le ferite più profonde, attraverso il ricordo dei nostri cari, possono essere un’occasione per incidere nel nostro cuore immagini di bellezza e di incanto: la tradizione ebraica fornisce i primi elementi per guarire la ferita, sta all’uomo elaborarli.
Il secondo è un insegnamento diKahlil Gibran, che si trovano nel libro Il Profeta.
Allora Altamira parlò, dicendo: vorremmo chiederti ora della Morte.
Ed Egli disse: Vorreste conoscere il segreto della morte.
Ma come scoprirlo, se non cercandolo nel cuore della vita?
Il gufo dagli occhi notturni, ciechi di giorno, non può svelare il mistero della luce.
Se davvero volete scorgere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita.
Giacché la vita e la morte sono una cosa sola, così come il fiume e il mare.
La scelta dei genitori di Marco e Gloria si pone in questa linea: anche attraverso la morte affermare i valori della vita.